La membrana del Portale era cedevole come acqua, ma vibrante di anticipazione come un amante a lungo dimenticato; il suo scopo era il trasporto, e con ansia attendeva di poterlo portare termine.
Centinaia di persone avanzavano verso il Portale, con la dedizione di una processione e l’ansia di una rivolta. Una scarica, ed erano dentro.
Il mondo dopo era abbastanza normale, per qualcosa dietro ad un portale gigantesco, con una grande spianata di quello che sembrava cristallo.
Alcuni dei più poetici avrebbero descritto la zona come un’eco oltre al mondo, etereo e immutabile come solo il sogno di un dio potrebbe essere. Altri meno inclini alla metafora lo avrebbero più correttamente definito una sala d’attesa glorificata.
Il tempo funzionava in modo curioso in quel reame arcano, con persone che entravano giorni prima che arrivavano assieme a tutti gli altri.
Il risultato è che alcune migliaia di persone si ritrovarono tutte assieme in questa distesa di cristallo luminoso, illuminato da un cielo senza stelle.
Gran parte delle persone si guardarono confuse, ma confidavano che fosse una tappa temporanea per il grande Esodo.
In un certo senso, era vero.
Dopo giorni di viaggio, Marcus Delvar era finalmente arrivato a Spes con famiglia e figli per entrare in questo famoso Portale, e fra poco era il suo turno.
Più si avvicinava alla membrana azzurrina, più sentiva i capelli vibrare di energia statica.
Sua moglie, Bella Delvar, passò assieme al figlio di dodici anni, e lui stava per compiere il passo per seguirla.
Nulla poteva prepararlo per la sonora botta sul naso che si sarebbe preso in quell’istante.
La membrana del Portale, normalmente azzurrina ed invitante, stava diventando rossa e rigida, ghiaccio pietrificato. Il suo scopo era stato violato.
La folla si accorse immediatamente della cosa, e cominciò a picchiare con disperazione contro il Portale sigillato.
All’interno, invece, per ora tutto era tranquillo. La distesa di cristallo era silenziosa, anche se alcune persone notarono la presenza di uno strano obelisco non troppo distante.
Era sempre stato lì o era comparso improvvisamente? Nessuno sembrava ricordarsi della sua presenza.
Un paio di persone particolarmente intraprendenti si avvicinarono alla gigantesca struttura, alta più di venti metri.
Più si avvicinavano, più sentivano qualcosa, come una vibrazione nell’aria, non troppo dissimile da quella che emetteva il portale.
Anche questa era anticipazione, anche questa desiderio. Ma questa, al contrario, non era nata dal dovere, ma dalla fame.
Le persone che si avvicinarono non riuscirono a resistere alla brama: Dovevano toccare quella cosa. Dovevano sapere.
L’istante in cui toccarono le pareti cristalline dell’obelisco, caddero a terra come burattini.
Chi vide la scena non ebbe il tempo di reagire. L’antilope di fronte al leone di rado ne ha.
La superfice dell’Obelisco si frantumò in migliaia di cristallini frammenti, mentre dai suoi resti emergeva una strana entità. Sembrava una titanica statua di magnifica fattura, con proporzioni e lineamenti così perfetti da essere dolorosi da guardare. Il viso era come una maschera, che vibrava in continuazione, cambiando tra fattezze femminili e maschili, bestiali ed angeliche.
Il titano girò il suo sguardo vuoto verso la folla, in cui alcuni iniziarono ad urlare, altri a pregare. Erano al cospetto di un dio o di un mostro. Forse di entrambi.
Un passo, e fu in mezzo a tutti.
Chiunque anche solo sfiorava quell’entità spirava istantaneamente, con l’ultimo respiro che si innalzava verso la tempesta di cristalli che seguiva la divinità.
Ogni anima strappata diventava una nebbia dai mille colori, che seguiva come un mantello di magnifico orrore quel mostruoso titano.
La folla iniziò a disperdersi: Chi poteva e voleva combattere prese le armi contro quel nemico, chi vedeva in esso una furia divina si limitava a cadere in ginocchio ed attendere il suo destino.
Più il massacro continuava, più l’apparenza dell’entità diventava meno divina e più orribile: La pelle statuaria si rompeva in più punti, e da essi emergevano volti e arti, strutture e papere di gomma. Presto della perfezione iniziale non rimase che un ricordo, perso nell’orrore di una bestia informe.
Eppure, tutti coloro che la videro la definirono indistintamente come qualcosa di divino.
Perché, anche se in modo infantile e corrotto, ‘qualcosa di divino’ era esattamente quello che l’entità voleva essere.
Ma come si può definire cosa sia un dio ad un bambino che non conosce nulla? Come puoi spiegare il divino?
Come ogni domanda impossibile, la risposta è di semplice brutalità: Un Dio è perfetto.
E come può un bambino sapere cosa è perfetto? Vedendo come altri lo definiscono.
Ogni anima reclamata era una diversa visione del divino, ed ogni anima che reclamava il bambino cercava di adattarsi a quella visione.
Migliaia di diverse perfezioni, tutte unificate in una sola mostruosità. Il Non-Nato era nato come un dio, senza sapere cosa questo voleva dire.
Avvolta nel suo mantello di colore, l’entità si muoveva come un bambino in mezzo alla folla, calpestando e prendendo ciò che voleva.
Eppure, sembrava che il massacro la stesse avvelenando: Al di là del mero aspetto informe, diventava sempre più lenta, più schiacciata dal suo stesso peso.
Gli attacchi che prima a malapena lo scalfivano, ora gli mozzavano alcuni degli infiniti arti che emergevano dal suo corpo.
Ora perfino il suo tocco, all’inizio letale, non danneggiava minimamente i sopravvissuti.
Centinaia di spade si impiantarono nella sua carne, migliaia di proiettili perforarono le decine di torsi che crescevano in continuazione.
Il Non-Nato non capiva perché quelle cose se la prendessero così tanto, lui voleva solo mangiare. Perfino le anime che aveva estratto con così tanta passione si ribellavano al suo tocco, recidendo la sua divinità frammento dopo frammento.
Ci volle un’ora perché la divinità crollasse sotto il suo stesso peso, schiantandosi a terra con un urlo di disperazione; l’ultimo pensiero della bestia una domanda che non avrebbe mai ricevuto risposta: ”Perché?”
Dal punto di vista dei mortali, loro erano riusciti nell’impossibile impresa di sopravvivere, ma la realtà era un po’ più semplice e meno eroica: Il Non-Nato aveva provato a violare una regola che definisce la realtà, e per questo era stato punito. Il potere non può essere rubato. Ma alle poche centinaia di sopravvissuti questo non interessava: avevano vinto! Questo si sarebbe cantato nelle ere avvenire. Quello, e i morti.
Le anime che componevano il mantello di colori iniziarono a disperdersi immediatamente, fondendosi in quella distesa di cristallo, come neonate stelle.
Il paesaggio cominciò a cambiare, quasi in risposta, e i superstiti si ritrovarono in una pianura, illuminata da un caldo sole primaverile.
Bella Delvar, con gli abiti sporchi di sangue e tenendo in mano una spada spezzata, avanzò tremante verso una piccola collina.
Appena la raggiunse, vide dall’altro lato una singola figura con un vestito multicolore che guardava rapita il paesaggio
“Dove siamo?” chiese la donna, stringendo a sé la spada
La figura si girò verso di lei, con un caldo, anche se strano, sorriso “Ah, benvenuti. Vi stavamo aspettando. Siamo nel Bosmain, la vostra nuova casa.”
“No… In che Piano?” continuò lei, con sguardo vuoto, mentre altri dei sopravvissuti la raggiungevano.
La figura, il cui volto nessuno si sarebbe ricordato da li a poco, aprì le braccia
“Alinox”